L’ungherese è arrivato nella mia vita quasi per caso: volevo solo imparare due frasi per un weekend a Budapest che non c’è mai stato, e invece mi ha aperto le porte di un Paese che mi affascinava da tempo. Ho sempre amato le lingue: oltre all’italiano parlo fluentemente inglese e francese, sto studiando spagnolo e mi diverte giocare con le parole insieme a mio figlio. La curiosità passeggera dell’ungherese è diventata una parte viva del mio modo di viaggiare e di guardare il mondo e in questo articolo condivido perché studiare una lingua così difficile.
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Perché ho iniziato a studiare l’ungherese: cosa ho imparato da una lingua difficile
Ho iniziato a studiare ungherese per più che altro per impressionare una persona che lo parlava, lo ammetto. Quello che non mi aspettavo era che questa lingua mi appassionasse così tanto da diventare una passione autonoma e indipendente. Tant’è che continuo a studiarla ancora oggi, dopo la fine di quella relazione, anche se a volte mi manca non avere più nessuno a cui dire szeretlek galambom o sentirmi chiamare szívem nei messaggi.
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L’ungherese non somiglia a nessuna delle lingue che avevo già studiato. Non appartiene alla famiglia indoeuropea e ha una struttura tutta sua, fatta di suffissi, parole composte e logiche diverse rispetto alle lingue europee più comuni. All’inizio mi sembrava di affrontare un rompicapo, e in parte lo è ancora, anche se ormai riesco a capire frasi semplici.
Poi però ho iniziato a divertirmi: le parole cambiano significato unendosi ad altre, e il sistema funziona anche per crearne di nuove. Per esempio, repülőgép (aereo) è formato da repül (volare) e gép (macchina). Con la stessa logica puoi riconoscere mosógép (lavatrice) e számítógép (computer), ma anche inventarti neologismi come gyümölcsgép (macchina di frutta) che non ha alcun senso pur essendo grammaticamente corretto!
In ungherese un suffisso può anche trasformare un verbo in sostantivo o indicare una direzione, modificando completamente la frase. Una fermata del bus è buszmegálló, ma se noi stiamo aspettando lì diventa buszmegállóban, mentre se ci muoviamo da lì è buszmegállótól. Complicato e bellissimo allo stesso tempo.
Mi affascina anche l’ordine delle parole: in ungherese la costruzione è diversa da italiano, francese o inglese. In ungherese puoi iniziare una frase con il concetto più importante della frase, che non è necessariamente il soggetto o il complemento oggetto. Tutto questo mi ha costretto a ripensare il mio modo di esprimermi. Non studio l’ungherese solo per parlarlo, ma perché ogni nuova regola mi apre un pezzetto di mondo.

Viaggiare in Ungheria: come l’ungherese apre le porte a incontri autentici
Il vero cambiamento l’ho sentito viaggiando in Ungheria. In molte zone, soprattutto fuori da Budapest, l’inglese non è così diffuso e sapere anche solo poche parole in ungherese ha fatto una grande differenza. La prima volta mi è successo al Museo Ferroviario Ungherese, quando mi sono avventurata fuori dalla zona turistica di Budapest e ho dovuto cavarmela con le poche frasi che avevo imparato.
Forte di quella prima esperienza, durante il successivo viaggio on the road in Ungheria con mio figlio ho esplorato villaggi di campagna, lontano dalle solite mete turistiche. Imparare una lingua che molti considerano inutile da studiare perché parlata da pochi mi ha dato moltissima soddisfazione.
Poter salutare, ringraziare, ordinare al ristorante o chiedere informazioni mi ha permesso di avvicinarmi alle persone in un modo che non avrei potuto fare altrimenti.
Certo, il mio accento lascia ancora molto a desiderare e spero di non aver detto involontariamente niente di imbarazzante. In ungherese á, ó, ö, ő, ú, ü, ű non sono semplici accenti, ma vere e proprie vocali diverse. Allo stesso modo cs, dz, dzs, gy, ly, ny, sz, ty e zs non sono combinazioni di lettere, ma consonanti con un suono unico.
Ed è proprio questo che rende speciale lo sforzo: i sorrisi di sorpresa e complicità quando provavo a dire anche solo una frase semplice in ungherese sono ricordi che porto con me tanto quanto i paesaggi del lago Balaton o i musei di Mezokovesd.

Come l’ungherese è diventato parte di me
Per quanto nato quasi per sfida personale, lo studio dell’ungherese non è rimasto un esperimento passeggero. È entrato a far parte del mio percorso personale, intrecciandosi con la mia passione per i viaggi e per le lingue.
Probabilmente non diventerò mai fluente come in inglese o francese, anche perché non ho occasione di parlarlo quotidianamente, ma non importa. L’ungherese mi ha regalato un nuovo modo di pensare e mi ha aperto prospettive che non avevo mai considerato.
Non è solo un insieme di regole da imparare, ma una chiave per capire meglio una cultura, per sentirmi parte dei luoghi che visito e per arricchire la mia visione del mondo. Oggi l’Ungheria per me è un Paese intero da scoprire, non solo Budapest e le grandi città.
È bellissimo avere la fiducia di potermi esprimere abbastanza da decifrare segnali stradali o trovare informazioni pratiche, senza dover tradurre preventivamente ogni menu o ogni cartello nei musei. L’ungherese mi accompagna come uno strumento in più per viaggiare in autonomia e vivere esperienze più autentiche.

Perché imparare una lingua difficile come l’ungherese vale la pena
Studiare l’ungherese mi ha insegnato che non serve diventare perfetti per lasciarsi trasformare da una lingua. Anche poche parole, se usate con cuore e curiosità, possono cambiare un viaggio e rendere più autentico l’incontro con chi ci accoglie. Ogni lingua apre una porta, e anche quelle considerate difficili non sono barriere, ma ponti: più impegnativi da attraversare, certo, ma capaci di regalare panorami unici.
Per me e mio figlio l’ungherese è diventato anche un gioco, una serie di parole segrete con cui ridere insieme. Come quando abbiamo scoperto che il termine per indicare gli alberi in ungherese fák sembra una parolaccia in inglese. Questi piccoli momenti ci fanno sentire complici e trasformano lo studio in qualcosa di leggero e divertente.
Come disse Nelson Mandela: “Se parli a un uomo in una lingua che capisce, arrivi alla sua testa. Se gli parli nella sua lingua, arrivi al suo cuore”. Ed è proprio questo il senso: imparare una lingua “impossibile” non è solo un esercizio di memoria, ma un atto di apertura verso nuove culture, verso modi diversi di pensare e persino verso noi stessi.
Anche senza arrivare alla perfezione, ogni passo ci avvicina a un mondo che altrimenti resterebbe distante. E la bellezza sta proprio lì: nel lasciare che una lingua ti sorprenda e ti accompagni, regalandoti esperienze e incontri che non avresti mai immaginato. Köszönöm, A. per avermi regalato nuovi orizzonti!

Scrivimi nei commenti se anche tu ti sei cimentato nello studio di una lingua “impossibile” o se ti ho incuriosito con questa mia dichiarazione d’amore per l’ungherese. Mi piacerebbe leggere le tue esperienze e scoprire quali lingue hanno aperto nuove prospettive nei tuoi viaggi.
2 commenti
Io credo che ogni volta che si viaggi all’estero si debbano almeno imparare i vocaboli base della lingua che si parla nel Paese di destinazione. L’ungherese la ricordo come una lingua musicale e molto elegante: indelebile è per me la voce registrata della metropolitana!
L’ungherese è una lingua che mi arriva dritto al cuore, per me è stato un colpo di fulmine!